Benvenuto,
Ospite
|
ARGOMENTO:
Interazioni Forti 06/05/2013 20:11 #74
|
Interazione Forte
................
................
Per domande: autore o
Domanda a un esperto
................Nei fenomeni che incontriamo nella vita di tutti i giorni, l’atomo mostra solo il suo vestito elettricamente carico fatto di elettroni. Così, la coesione degli atomi in molecole e quella stessa del nostro corpo sono rette dall'Interazione Elettromagnetica (descritta in Interazione Elettromagnetica "alla Feynman" ) e le energie sono tipicamente alla scala dell’elettron-Volt (eV). Sotto al vestito niente? No, ma per questa esplorazione è stato necessario condurre esperimenti a energia più alta. Si è così scoperto che sotto al vestito di elettroni l'atomo ha un nucleo atomico, di dimensioni ridottissime rispetto alle sue. Per assicurare la strettissima coesione del nucleo è necessaria la “Interazione Forte”, di natura complessa. Si è infine trovata una teoria che le descrive: la “Quanto-Cromo-Dinamica” (QCD). Vi arriveremo gradualmente, ripercorrendo il progresso delle nostre conoscenze della struttura sub-atomica.
Fisica e matrioske La figura 1 (tratta da un interessante articolo di Claudio Magris sul concetto di identità delle comunità umane, molto attuale) sintetizza la struttura sub-atomica, secondo le conoscenze attuali. Notate l’enorme diversità di scala delle dimensioni nel progressivo zoom-in. Le unità di misura correnti sono 1 Angstrom = 10-10 m per la Fisica atomica e 1 Fermi = 10-15 m per la Fisica nucleare e sub-nucleare. E’ una sequenza di sotto-strutture come nelle bambole russe, le “matrioske” mostrate nella figura 2, ma con una vertiginosa riduzione di dimensioni da una all’altra. Piccole dimensioni sono l’effetto di un legame forte. Alle scale decrescenti in dimensioni corrispondono quindi scale crescenti nelle energie di legame: si passa da eV per gli elettroni nell’atomo, alla decina di MeV (milioni di eV) per i “nucleoni” (protoni e neutroni) nel nucleo, a “di più” per i quarks nei nucleoni. Dico “di più” e non sono più specifico perché, come si vedrà, i quarks “sono confinati in casa” e non si fanno vedere liberi. La massa dei nucleoni è nota ma non è immediato determinare la massa dei quarks scindendola dall’energia del loro legame nei nucleoni: esse si trovano equiparate e mescolate dalla relazione Einsteiniana E = mc2 . Una considerazione (va ammesso: “da fisico”) sull’unità della Scienza. Tutti studiano la Natura e cosa si può imparare da essa. Lo spirito di curiosità, ricerca e conoscenza è lo stesso. Il metodo scientifico è uno. Fare Scienza è un'unica attività di vita professionale. In prima approssimazione, il biologo, il chimico, … il fisico nucleare, il fisico delle particelle, … si differenziano solo per la scala di energia d’interazione (o di legame) dei fenomeni da essi studiati. E ora un ineludibile interrogativo. Di matrioske ve ne è sempre una ultima, la più piccola. Sono i quarks l’ultima matrioska dell'atomo? Se abitudinariamente estrapoliamo dal passato, diremmo di no: si è sempre trovata una sotto-struttura. Ma tutto è possibile. Nuove scoperte e nuove considerazioni teoriche possono anche portarci a una visione diversa: i quarks potrebbero essere l’ultima matrioska. L’atomo parla con il mondo esterno tramite le interazioni elettromagnetiche dei suoi elettroni più esterni. Le stesse interazioni governano la sua struttura elettronica a livelli energetici. Ma nello zoom-in, da nucleo (compreso) in poi, domina la cosiddetta “Interazione Forte”. Seguiamo ora questo zoom-in, avendo come filo logico l'Interazione Forte. Per approfondimenti, vi consiglio The structure of Matter sul sito Web dell'organizzazione Nobel. Scoperta del nucleo atomico Di fronte a un interrogativo scientifico gli scienziati generano idee per rispondervi sperimentalmente. Com’è distribuita la materia, e con essa le cariche elettriche, all’interno dell’atomo? L’ipotesi corrente era che fosse distribuita più o meno uniformemente, come l'uvetta in un panettone. Ernest Rutherford (1871-1937), insieme a Geiger e Marsden, congegnò un esperimento che nel 1909 con la scoperta del nucleo atomico e dell’incredibile densità di materia che lo caratterizza diede una sorprendente risposta all'interrogativo. Fu la prima indicazione dell’esistenza dell'Interazione Forte, alla quale attribuire la coesione del nucleo. L'esperimento di Rutherford va inoltre considerato come l'archetipo di una nuova metodologia sperimentale, tuttora valida come noi stessi constateremo in seguito: se investiamo l’oggetto da studiare con un fascio particelle aventi la funzione di sonda, da come esse sono diffuse possiamo trarre informazioni sulla sua struttura interna. Nell'esperimento di Rutherford le particelle sonda erano, come vedremo, particelle α emesse per radioattività naturale. Con lo sviluppo degli acceleratori di particelle , si iniziarono a utilizzare particelle da essi portate a energie sempre più alte.
Lo schema dell’apparato sperimentale di Rutherford è illustrato in figura 3. Un fascio di particelle α (nuclei di Elio) generate dal decadimento radioattivo naturale (vedete Radioattività e decadimenti nucleari ) di Radio è diretto ortogonalmente su una sottile lamina di Oro. Le particelle α diffuse a vari angoli nelle interazioni con gli atomi di Oro sono osservate mediante uno schermo ricoperto di Solfuro di Zinco (ZnS). Le scintille luminose emesse dal Solfuro di Zinco quando è colpito da particelle α sono pazientemente osservate al buio con un microscopio e contate posizionando il microscoiio a vari angoli. Si può così determinare la distribuzione degli angoli di diffusione. Lasciamo la parola a Rutherford per illustrare quanto osservò: "It was quite the most incredible event that has ever happened to me in my life. It was almost as incredible as if you fired a 15-inch shell at a piece of tissue paper and it came back and hit you. On consideration, I realized that this scattering backward must be the result of a single collision, and when I made calculations I saw that it was impossible to get anything of that order of magnitude unless you took a system in which the greater part of the mass of the atom was concentrated in a minute nucleus. It was then that I had the idea of an atom with a minute massive centre, carrying a charge". (Fu l'evento più incredibile mai successomi in vita mia. Era incredibile quanto lo sarebbe stato sparare un proiettile da 15 pollici su un foglio di carta velina e vederlo tornare indietro e colpirti. Pensandoci, ho capito che questa diffusione all'indietro doveva essere il risultato di una sola collisione e quando feci il calcolo vidi che era impossibile ottenere qualcosa di quell'ordine di grandezza a meno di considerare un sistema nel quale la maggior parte della massa dell'atomo fosse concentrata in un nucleo molto piccolo. Fu allora che ebbi l'idea di un atomo con un piccolissimo nucleo massiccio e carico). Con riferimento alla figura 4, il modello "a panettone" rappresentato in alto è smentito e si impone un modello "a nucleo". Nel 1908, Rutherford era stato insignito del premio Nobel per la Chimica: "for his investigations into the disintegration of the elements, and the chemistry of radioactive substances" (per le sue ricerche sulla disintegrazione degli elementi, e la chimica delle sostanze radioattive) Lo avrebbe largamente potuto avere anche per i suoi numerosi e fondamentali contributi alla Fisica. La densità del nucleo, rispetto a quella della materia sino allora conosciuta, è sconvolgente. Ora sappiamo che le dimensioni del nucleo sono circa 100.000 volte più piccole di quelle dell’atomo e, quindi, che la sua densità è più grande di quella della materia ordinaria corrispondentemente alla terza potenza di questo fattore. La troviamo solo nel Cosmo: le stelle di neutroni (vedete Stelle di neutroni e Buchi Neri ) sono costituite da un gigantesco ammasso di materia nucleare. S’innestò prepotentemente una considerazione: deve esserci una nuova interazione capace di “strizzare” così fortemente la materia nel nucleo. Viene spontaneo il nome di “Interazione Forte”. Il nucleo atomico La potenza degli interrogativi che si posero vi fa immaginare il fervore degli scienziati per comprendere il nucleo e le forze che vi agiscono. Nacque così la Fisica del nucleo atomico, della quale trattano vari articoli nei gruppi Nucleo atomico e Storie di quarks in Saggi tematici . La prima pietra miliare per la conoscenza della struttura del nucleo atomico fu posta nel 1932 - oltre vent'anni dopo l'esperimento di Rutherford - con la sorprendente scoperta del neutrone da parte di James Chadwick, che identificò in una particella neutra con massa vicina a quella del protone il costituente di una misteriosa radiazione neutra con caratteristiche diverse da quelle della radiazione γ. Questa scoperta gli valse il Premio Nobel 1935 . Per spiegare il maggior valore del numero di massa A rispetto al numero atomico Z, si era pensato che la massa del nucleo fosse data dai noti protoni e vi fossero annidati e nascosti anche degli elettroni aventi il solo compito di ridurre la carica elettrica totale da A a Z. Questa interpretazione incontrava serie difficoltà. La scoperta del neutrone introdusse un ingrediente neutro al protone elettricamente carico per la vera (e più semplice) ricetta del nucleo. Ora sappiamo che un nucleo con numero di massa A è costituito da Z protoni (da cui dipendono le proprietà chimiche dell’elemento) e da A-Z neutroni. Non vi è bisogno di elettroni, almeno per questo. Protoni e neutroni (ai quali viene dato il nome generico di “nucleoni”) nel nucleo formano un insieme compatto, come schematizzato in figura 1 e descritto in Nucleo atomico: fenomenologia . Questo implica che le loro dimensioni sono dello stesso ordine di grandezza di quelle del nucleo. Se ne deduce che anche i nucleoni sono tenuti coesi dall’Interazione Forte. Una curiosità ci aiuta a collegare le cose nel tempo: il nome "neutrone" dato da Chadwick scalzò lo stesso nome dalla particella neutra ipotizzata da Pauli nel 1930 per spiegare la distribuzione in energia degli elettroni emessi nei decadimenti nucleari cosiddetti β, come esposto in interazione Elettro-Debole . " Ubi maior, minor cessat ": data la sua massa praticamente nulla, il neutrone di Pauli dovette accettare di essere ribattezzato "neutrino". Nel contesto di questi articoli, la fisica del nucleo interessa per le conoscenze che porta e per le applicazioni utili all'uomo a cui si presta, ma il pensiero va inevitabilmente anche a un dramma che scosse le coscienze e a un pericolo non totalmente cancellato. Lo sviluppo della Fisica Nucleare fu contemporaneo alla tragedia della Seconda Guerra Mondiale e fatalmente vi si intersecò: l’enorme energia che si può sprigionare dal nucleo può essere usata anche fini bellici, con tremendo potere distruttivo. E in guerra il confine tra difesa e offesa non è chiaramente marcato. In questo conflittuale dilemma, nacque “la bomba” e fu data in mano allo Stato. Le circostanze deviarono la Scienza dalla sua motivazione primaria: la conoscenza. L’argomento non può essere chiuso qui. E' trattato in un articolo a parte, dal titolo La bomba . Come persone e cittadini, non possiamo fare a meno di affrontarlo. Fig. 5. Adroni e loro classificazione Lo zoo delle particelle sub-nucleari Le particelle subnucleari costituenti il nucleo atomico – protone e neutrone – appartengono alla classe detta dei “barioni” (dal greco βαρύς, pesante). Nel 1947 fu scoperto il “pione”, capostipite di una nuova classe detta dei “mesoni” perché il pione ha massa intermedia tra quella dell’elettrone e quelle di protone e neutrone. A barioni e mesoni viene dato il nome generico di “ adroni ” (dal greco ἁδρός, forte), perché soggetti alla Interazione Forte . Maggiori dettagli sugli adroni sono dati in Protone, pione & adroni . La tabella in figura 5 mostra i primi elementi nella classificazione degli adroni agli inizi degli anni sessanta, comprendente le cosiddette particelle " strane " (vedete Protone, pione & adroni ). Il nome di battesimo dice che esse escono dalla "normalità" di protone e neutrone e pione. Esse hanno generalmente una massa più grande e sono instabili con tempi di decadimento molto lunghi, tipici dell' Interazione Debole . Insomma esse sono "diverse". Ai pioni si aggiunsero mesoni strani, in primo luogo i mesoni K. Ai barioni si aggiunsero gli "iperoni". Di fronte alla varietà degli elementi chimici, Dmitrij Mendeleev mise ordine in casa "sistemandoli" in una Tavola in base alle loro proprietà. La sua prima " Tavola Periodica " fu pubblicata nel 1869 e mostrò delle periodicità, antesignane dalla visione dell'atomo dato dalla Fisica Atomica nella quale esse trovano interpretazione. Qualcosa di simile avvenne per le particelle sub-nucleari. Al crescere del loro numero, si cominciò a dubitare che esse fossero genuinamente particelle elementari. Si pose il problema di "sistemarle" in un quadro organico alla ricerca di "simmetrie" o, se volete parlare come Mendeleev, di periodicità. Tornando all'immagine a inizio articolo, il percorso portò alla matrioska più interna mettendo in luce l'esistenza di "quarks". Esso è illustrato in Simmetrie: protoni, neutroni e ... quarks e, per i più ardimentosi, in Simmetrie: quarks per semi-professionisti . Vediamolo molto brevemente, come viene di farlo qui.
Da Simmetrie ai quarks Il neutrone e il protone hanno massa praticamente uguale, quella del neutrone essendo di pochissimo maggiore. La diversità che usualmente ci colpisce è nella carica elettrica. Ma questa non interessa l'Interazione Forte, che domina largamente nella costituzione del nucleo atomico. Interessa unicamente l'Interazione Elettromagnetica, che nel nucleo atomico porta a effetti visibili ma secondari (vedete Nucleo atomico: legame ). Dal punto di vista dell'Interazione Forte, neutrone e protone sono quindi apparentati in una forma di “simmetria”. Possiamo considerarli come due stati possibili della singola particella (il nucleone) vista dall'Interazione Forte, un poco come la proiezione del momento angolare di spin un elettrone secondo un asse prestabilito può assumere i valori definiti da un "numero quantico" s = +½ oppure -½ (vedete Lo spin ). A questa simmetria viene dato il nome di "isospin" e lo stato rispetto ad essa viene indicato con un "numero quantico" di isospin: I3 = +½ per il protone e -½ per il neutrone. La figura 6 (tratta da L'enigma dell'interazione a distanza e i quanti ) mostra la simmetria geometrica di un pavimento musivo individuato nel 2002 e portato alla luce dagli scavi di Antiochia ad Cragum . Organizzando nella mente quello che vedete potete formulare una "legge si simmetria", che vi apre anche alla conoscenza della parte mancante. Così, in Fisica si scoprono nuove proprietà configurando le osservazioni sperimentali in simmetrie e sfruttando il loro potere predittivo per poterne verificarne la validità in esperimenti progettati per vedere le parti mancanti al “mosaico fisico". Lo mostra, in generale, una serie di articoli sulle Simmetrie tra i Saggi Tematici . L’argomento riguarda in generale la percezione umana. Con la locuzione “ Gestalttheorie ” (“teoria della forma”), si indica una corrente della Psicologia finalizzata all’analisi delle modalità con le quali il cervello umano riesce ad organizzare una visione coerente del mondo e trarne delle conclusioni. Ve ne è un riflesso nell’arte di Mauritius Escher . L’osservazione della simmetria di isospin tra protone e neutrone può apparire priva di significato profondo. Non lo è affatto: in seguito alla scoperta di nuovi adroni, essa non fu che l'inizio del precisarsi di una ben definita legge di simmetria, collegata all'esistenza di costituenti degli adroni (i "quarks") come la simmetria di un cristallo è collegata agli atomi che lo compongono. Protone e neutrone si possono solo allineare: per fare un mosaico ci vogliono altri tasselli, e diversi. Gli altri tasselli vennero con la scoperta delle particelle "strane", di cui sopra. Il nome stesso dice che esse escono dall'allineamento di protone e neutrone. Fu sufficiente per trovare una legge di simmetria, e questa legge implica l'esistenza di costituenti, i quarks. Agli inizi degli anni '60 nacque così il “ Modello a quarks " degli adroni. Secondo il Modello a quarks, il protone è costituito di due quarks denominati come “up” (in breve u) e di uno “down” (d) e il neutrone è simmetrico per scambio di up con down. Essi sono disposti simmetricamente lungo un asse che in figura 7 è denotato con I3 . Le particelle denominate barioni (figura 5), tra cui protone e neutrone, sono costituite di tre quarks. Se consideriamo anche il quark "strano" (s), possiamo estendere il mosaico a un piano che ha per asse orizzontale I3 e asse verticale il numero quantico di "stranezza" S. Ad esempio, per i barioni con spin ½ si può individuare un "ottetto" con la simmetria mostrata in figura 7. L'ottetto è costituito dai sei "stati" (nel linguaggio quantistico, e riferiti alle Simmetria) indicati in figura ai vertici di un esagono e da due stati centrali. La figura indica anche la composizione di questi stati e le particelle corrispondenti. All'ottetto si aggiunge uno stato singolo ("singoletto") caratterizzato da una diversa simmetria e non mostrato in figura. Non abbiamo parlato di carica elettrica dei quarks, irrilevante dal punto di vista dell'Interazione Forte. Ma i conti debbono tornare con le cariche elettriche delle particelle osservate. E tornano attribuendo carica elettrica +⅔ ai quark up e -⅓ ai quark down e strano: ad esempio, per il protone si ritrova la carica +⅔ +⅔ -⅓ = +1. E' uno scandalo la carica frazionaria dei quarks? Ma perché? Il valore unitario (anzi -1) dato alla carica dell'elettrone è storicamente giustificato ma arbitrario, a rigore. Il vero mistero è perché le cariche elettriche delle particelle elementari sono "quantizzate", cioè possono assumere solo determinati valori. Un ingrediente fondamentale del Modello a quark è che essi siano dotati un'ulteriore proprietà, secondo un'ipotesi scaturita da un'interpretazione di dati sperimentali. Vi torneremo in seguito e chiariremo anche perché essa è detta "colore". Il Modello a quarks è di natura "statica" e dice che i quarks "esistono". Si ritrova la stessa problematica che portò Rutherford a scoprire che la massa atomica è concentrata in un nucleo, di dimensioni ridottissime. Siamo quindi indotti a parlare di esperimenti di collisione “alla Rutherford” per indagare la struttura interna dei nucleoni. Questi esperimenti sono in grado di fornire un'evidenza "dinamica" dell'esistenza dei quarks, di indagare le loro dimensioni e di dare informazioni fondamentali per la comprensione dell'Interazione Forte, che è responsabile della coesione dei nucleoni nel nucleo come di quella dei quarks nei nucleoni. Un esperimento "alla Rutherford" per i nucleoni? La domanda che si pose per l’atomo a Rutherford si sposta al livello del nucleone: la materia vi è distribuita uniformemente o è concentrata in suoi costituenti? Stessa domanda. Per rispondervi, è possibile usare la stessa metodologia? Se lo è, come? Facciamo qualche passo indietro e assestiamo i nostri piedi mentali sul terreno delle nostre conoscenze di ottica classica: per vedere distintamente un oggetto e i suoi dettagli, senza incorrere in fenomeni diffrattivi , occorre che la lunghezza d'onda della radiazione luminosa sia considerevolmente più piccola delle sue dimensioni. La visione " olistica " di onde e particelle è esposta in Onde e particelle per pedoni molto curiosi . Nella descrizione ondulatoria, la lunghezza d’onda di una particella con quantità di moto p è λ = h / p, ove h è costante di Planck . Convertendola per comodità del successivo calcolo in unità di misura diverse dalle usuali (eV s), essa vale h = 1,2 GeV/c Fermi ove GeV significa miliardo di eV, c è la velocità della luce e 1 Fermi è eguale a 10-13 cm. Il nucleone ha dimensioni dell’ordine di 1 Fermi e la condizione che la lunghezza d’onda sia λ < 1 Fermi si traduce in p > 1 GeV/c, approssimativamente. La relazione relativistica E = pc dice poi che l'energia E deve essere maggiore di circa 1 GeV. Si conferma quanto potevamo ben immaginare. Per indagare la struttura del nucleone sono necessarie energie enormemente più elevate di quella (circa 5 MeV di energia cinetica) delle particelle α usate da Rutherford e provenienti dal decadimento radioattivo naturale di un nucleo. E’ necessario ricorrere a un acceleratore di particelle . Vedete la storia dello sviluppo degli acceleratori nell'articolo al quale vi dirige il collegamento. Un modello del tipo a nucleo(i) anche per i nucleoni? Gli elettroni apparvero essere le particelle più adatte per esplorare “alla Rutherford” la struttura dei nucleoni. Essi sono facilmente estraibili dagli atomi per ionizzazione e soprattutto sono particelle elementari. Esse sono da considerare come puntiformi e assicurano la massima semplicità nell’interpretazione dei dati. Le loro interazioni sono di natura elettromagnetica e sono compiutamente descritte dalla teoria quantistica-relativistica detta “Elettro-Dinamica Quantistica” (QED) e esposta in Interazione elettromagnetica alla "Feynman" e L'enigma dell'interazione a distanza e i quanti .
Fig. 8. Il fotone emesso dall'elettrone
come sonda di costituenti (partoni) del nucleone Immagine Wikimedia A questo punto potreste sollevare la seguente questione. Secondo la QED, l’interazione elettromagnetica è trasmessa (“mediata”) da un fotone γ, la particella che in termini ondulatori è descritta come un’onda elettromagnetica. Non è allora il fotone la vera sonda della struttura del nucleone? Giusto. Il processo è rappresentato in figura 8, che corrisponde alla figura 4 in basso nell'esperimento di Rutherford. L’elettrone serve “solo” a emettere il fotone e a far sapere che accade, osservandolo in un apparato sperimentale. In particolare deve dire se diffusioni a grandi angoli denunciano la presenza di costituenti dei nucleoni (genericamente detti "partoni"), come il nucleo lo è per l’atomo nel caso dell’esperimento di Rutherford raffigurato in figura 3. L'energia necessaria al fotone per sondare la struttura del nucleone andrebbe ricalcolata in termini quantistici-relativistici, ma per emettere un fotone di sufficiente energia l'elettrone deve comunque avere una energia ben superiore al GeV di cui sopra, Rivisitando le incisive parole di Rutherford sopra riportate, si avrà la sorpresa che una presupposta carta velina si comporta in modo totalmente diverso? Non resta che illustrare l’acceleratore e l’apparato sperimentale utilizzati per questa esplorazione, per poi esporre il verdetto della carta velina.
L'acceleratore e l'apparato sperimentale Agli inizi degli anni '60 fu lanciata una grandiosa impresa tecnologica che dotò SLAC (Stanford Linear Accelerator Center, in California) di un acceleratore lineare, lungo "due miglia" (circa 3 km e mezzo) e capace di fornire un flusso continuo di elettroni con un’energia di 20 GeV. La struttura dei nucleoni fu indagata mediante un esperimento “alla Rutherford” in cui gli elettroni erano osservati mediante uno spettrometro magnetico, capace di determinarne anche l'energia tramite la misura della deflessione indotta dal magnete. Le figure 9a e 9b mostrano due immagini dell'acceleratore lineare. La figura 10 mostra lo spettrometro magnetico, posizionabile a vari angoli (come il microscopio in figura 3) in modo da determinare la distribuzione delle deviazioni angolari subite dagli elettroni nelle interazioni con i nucleoni. Il confronto con l'apparato di Rutherford rappresentato in figura 3 è venuto spontaneo e dimostra che la metodologia sperimentale di base è simile. Allo stesso tempo la differenza di scala è enorme, ma inevitabile per quanto riguarda sia l'acceleratore (radioattività naturale per Rutherford) che l'apparato per l'osservazione dell'elettrone (delle particelle α per Rutherford). Essa deriva dal fortissimo "zoom" nella scala dimensionale da indagare: dall'atomo e dal suo nucleo ai nucleoni e ai quarks, delle cui dimensioni ancora non si ha alcuna evidenza sperimentale: essi sono attualmente considerati come "puntiformi", secondo un concetto astratto che risale (per ragioni totalmente diverse) al ben noto "punto materiale" della meccanica classica.
Le osservazioni sperimentali Una sessantina di anni dopo l'esperimento di Rutherford furono di nuovo provate le stesse emozioni: l’analisi dei dati mostrò che tra elettroni e nucleoni avvengono collisioni molto dure, denunciate da diffusioni degli elettroni a grande angolo e comprensibili solamente se negli adroni la materia è concentrata in entità (i partoni, di cui sopra) che nei limiti sperimentali possono addirittura essere considerate come puntiformi. Questa scoperta valse il Premio Nobel 1990 .a Jerome Friedman, Henry Kendall e Richard Taylor: "for their pioneering investigations concerning deep inelastic scattering of electrons on protons and bound neutrons, which have been of essential importance for the development of the quark model in particle physics" (per le loro indagini pionieristiche sulla diffusione profondamente anelastica di elettroni su protoni e neutroni legati, che sono state di fondamentale importanza per lo sviluppo del modello a quark in fisica delle particelle). Subito si pose la questione: possiamo identificare i partoni con i "quarks" del “Modello a quarks” di cui sopra? Ebbene, per descrivere la struttura dei nucleoni fu concepito un "Modello a quarks-partoni" in cui i partoni sono identificati con i quarks e si trovò che esso riproduce i dati sperimentali ottenuti “alla Rutherford”. Simmetrie (statiche) e esperimenti di collisione (dinamici) hanno così collaborato nel dare evidenza dell’esistenza dei quarks e nel dirci le loro proprietà. A tutt'oggi, i quarks sono da considerare i costituenti fondamentali della materia e possono essere trattati come puntiformi. Le nuove metodologie che permisero queste scoperte furono messe a punto in una stretta e fruttuosa interazione tra fisici sperimentali e teorici. Tra questi ultimi citiamo in particolare Richard Feynman e James Bjorken . In figura 11 vediamo l'appena venticinquenne Bjorken in arrampicata libera nello Yosemite National Park, in una fotografia scattata da Henry Kendall. Fu proprio in loro conversazioni in occasione di arrampicate in montagna che fu concepita la metodologia basata sul cosiddetto "deep inelastic scattering" (diffusione profondamente anelastica), che trovate menzionata nella motivazione del premio Nobel. La stessa figura ci ricorda anche che Henry Kendall fu uomo di avventura in tutto, non solo in fisica sperimentale. In particolare egli fu grande alpinista, con passione per lasciare traccia del suo vissuto in bellissime fotografie . Fig. 12. Logo della serie televisiva Mission: impossible - Immagine Oldies.com Una teoria dell'Interazione Forte: missione impossibile? " Missione impossibile " è il titolo di una serie televisiva americana di spionaggio iniziata negli anni sessanta e con noto seguito cinematografico, ma potrebbe ben essere quello di una serie dedicata alla lunga e laboriosa vicenda scientifica della formulazione di una rigorosa teoria dell'Interazione Forte. Già per giustificare la coesione dei nucleoni nel nucleo era emersa la necessità di un'interazione con caratteristiche singolari. Essa doveva esercitarsi entro un "raggio di azione" finito, corrispondente alle dimensioni del nucleo, ed estinguersi al di fuori di esso. Il contrasto con le altre interazioni era stridente: ad esempio, l'intensità dell'interazione elettrostatica e di quella gravitazionale decresce con la distanza r secondo la legge 1/r2 ma non si annulla mai: il loro raggio di azione ha una coda che diminuendo sempre arriva all’infinito. In Protone, pione & adroni si è accennato all'ipotesi di Hideki Yukawa ( Premio Nobel 1949 , a trentadue anni di età), secondo la quale il raggio d'azione limitato era da collegarsi a un "mediatore" (nel senso definito in L'enigma dell'interazione a distanza e i "quanti" ) dell'Interazione Forte con massa intermedia tra quella dell'elettrone e quella dei nucleoni: un "mesone". Quest'ipotesi fu di stimolo alla scoperta del "pione" e nelle sue linee generali è stata estremamente fruttuosa, ma non risolutiva per la comprensione dell'Interazione Forte. La scoperta dei quarks come costituenti dei nucleoni (e degli adroni in generale) non poteva che essere anche un passo verso una teoria dell’Interazione Forte, ma per quanto riformulato il problema non appariva meno arduo. Infatti, una teoria doveva rispettare due fatti sperimentali non ovvi da conciliare. Li citiamo con la loro denominazione scientifica: - "confinamento": i quarks sono confinati all'interno dei nucleoni, dato che nessun esperimento è riuscito a osservare dei quarks come particelle libere; - "libertà asintotica": i dati sperimentali sono in accordo con il modello a quarks-partoni schematizzato in figura 7, secondo il quale un fotone con energia sufficientemente alta (da cui l’aggettivo asintotica) li trova sostanzialmente liberi all'interno dei nucleoni. Facciamo un paragone. Gli elettroni possono essere facilmente estratti da un atomo. Invece i quarks sono totalmente confinati dentro ai nucleoni, ma un fotone che ne entri profondamente all’interno li vede liberi come dei pesciolini in un vaso. Mai sentito qualcosa del genere per le particelle elementari. L'Interazione Forte richiede una teoria con elementi qualitativamente del tutto nuovi. Così per decenni l'Interazione Forte venne descritta tramite modelli fenomenologici, in assenza di un'autentica e completa "teoria" con una coerente base concettuale.
Il colore dei quarks La figura 8 è in bianco e nero. In realtà, come anticipato, i quarks andrebbero disegnati colorati: in "rosso", "verde" o "blu". E quando non lo si fa lo si sottintende e se ne tiene conto. Il bianco e nero è appropriato solo per gli adroni. Per comprenderlo in un certo dettaglio, leggete Viaggio nei colori: quarks e gluoni , ora vediamolo brevemente. La denominazione "colore" non ha nulla a che vedere con i colori visti dai nostri occhi, ma è assolutamente pertinente perché deriva da un’analogia con la classica " Teoria tricromatica del colore ". In tale teoria i colori fondamentali sono il rosso, il verde e il blu: tutti gli altri colori ne sono un miscuglio e un miscuglio in pari proporzioni è di colore neutro, come mostrato in figura 13. Protoni e neutroni hanno come costituenti tre quarks di colori diversi in pari miscuglio e quindi essi hanno globalmente colore neutro. I mesoni sono costituiti di un quark e un anti-quark, cosicché per essi la neutralità del colore è assicurata da un pari miscuglio di colore e corrispondente anti-colore. Così, tutte le particelle direttamente visibili nel mondo esterno hanno necessariamente avere colore neutro: per esse basta il bianco e nero. La ricetta del colore neutro funziona nel giustificare la forte e fatale aggregazione dei quarks in adroni, anche questa non significa un totale confinamento. In particolare, spiega perché le osservazioni sperimentali inducono a dire che il nucleo atomico è fatto di protoni e neutroni, dimenticando i quarks o volutamente lasciandoli dietro le quinte (i nucleoni) seguendo la classica metodologia della Fisica Nucleare (ma vedete anche Quarks e gluoni: c'era una volta ... ). A chi domanda perché il colore dei quarks "funziona" come necessario ingrediente nel configurare sistematicamente gli adroni e le loro proprietà, potremmo anche sbrigativamente rispondere "perché sì": come "perché no" nella famosa canzone " Vengo anch'io, no tu no " scritta e cantata da Enzo Jannacci nel 1967. Ma non ci accontentiamo e siamo stimolati a comprendere come inquadrare in una "teoria" questa constatazione, la quale peraltro riguarda solamente aspetti statici. Ne va compresa l'origine "dinamica", in relazione a specifiche proprietà della "interazione" che li determina. Un'altra simmetria vincente La teoria dell'Interazione Forte ora esiste ed è la "Quanto-Cromo-Dinamica" (QCD). Essa valse il Premio Nobel 2004 a David J. Gross, H. David Politzer e Franck Wilczek. Delle sue motivazioni potete anche vedere una presentazione illustrata . Al pari del Modello Standard delle Particelle Elementari e alla teoria dell'Interazione Elettro-Debole a esso collegata (vedete Interazione Elettro-Debole ), la QCD deriva da una impostazione sostanzialmente teorica basata su uno dei più importanti progressi del sapere in questi ultimi decenni: la magica relazione tra Simmetrie e Interazioni Fondamentali. Di questo tratta Simmetrie e Interazioni Fondamentali . Qui focalizziamo l'attenzione sulla QCD, limitandoci a una trattazione descrittiva. Riferiamoci a Interazioni e loro unificazione e L'enigma dell'interazione a distanza e i "quanti" per la definizione di "costante di accoppiamento" e "mediatore", quest'ultimo già menzionato. L'Interazione Forte ha una propria costante di accoppiamento, (più grande di quelle delle altre interazioni) e i “gluoni” ne sono i mediatori, con massa nulla. Il ruolo di carica (elettrica per l'Interazione Elettromagnetica) è giocato dalla “carica di colore”, che corrisponde al contenuto di colore. A differenza delle Interazioni Elettro-Magnetiche, il cui mediatore è il neutralissimo (elettricamente) fotone, nella QCD i mediatori sono carichi (ovviamente di colore). Essi sono detti "gluoni", da "glue" (parola inglese, in italiano "colla") perché tengono assieme i quarks negli adroni. Fig. 15. Un quark verde e uno blu interagiscono scambiandosi il colore tramite un gluone verde anti-blu (o anti-verde blu) Immagine Hyperphysics La figura 15 mostra un esempio di come dovrebbe essere rappresentata una interazione tra quarks: colori e non in bianco e nero come il processo in figura 8. Il gluone scambiato è verde anti-blu o anti-verde blu, secondo il verso attribuito al gluone scambiato. Non è per pigrizia o eccessiva parsimonia che solitamente ci si nega il piacere dei colori. Si dovrebbe moltiplicare il numero di diagrammi in relazione a tutte le possibili combinazioni di colore attive nel processo che si vuole rappresentare. Il bianco e nero è più pratico e incisivo, e del colore si tien conto a parte tramite un "fattore di colore" corrispondentemente a esse. Vi sono 8 gluoni, corrispondenti alle 8 combinazioni "colorate" (come nell'esempio in figura 15) possibili di colore e anti-colore. Anche i gluoni formano un "ottetto" come quello in figura 7: la simmetria è un'astrazione concettuale con applicabilità generale, come 2 + 2 = 4 si può applicare a formiche, balene o qualsivoglia altro. Si ritrova anche un "singoletto", con colore globale neutro e inattivo perché incapace di scambi di colore tra i quarks. Il confinamento nella QCD Come può la QCD spiegare che i quarks restino confinati all’interno dei nucleoni, ma liberi entro di essi? Guardate l’analogia rappresentata in figura 14, che in altra veste e non in bianco e nero si riferisce allo stesso processo rappresentato in figura 8. ll fatto che i mediatori siano carichi (s’intende di colore) implica che la forza tra quarks sia come quella data da una molla. La molla è lasca fino a che i quarks restano tranquilli: essi appaiono liberi. Ma si tende e fornisce una forte forza di richiamo (crescente con il crescere dell’allungamento, chiamiamolo r) se essi cercano di uscire o ne sono spinti fuori dall'impatto di un elettrone come mostrato in figura: è la proprietà di confinamento. Totale rivoluzione rispetto alle forze a cui siamo abituati. Pensate alla dipendenza da 1/r2 della forza elettrostatica: ma il suo mediatore, il fotone, è elettricamente neutro.
Le figure 16 mostra il confinamento in azione per una coppia quark-antiquark, di cui come si è detto è costituito un mesone. Per l'Interazione Forte si possono tracciare delle "linee di campo" come per un campo elettrico, solo che invece di aprirsi esse tendono a concentrarsi a fascio, come se fossero dei fili di elastico costituenti una molla. Se quark e antiquark si allontanano, le linee di campo si tendono fino a spezzarsi, come una molla troppo tesa. Succede però qualcosa in più che quando una molla si spezza in due molle. Il fenomeno è simile a quello che accade quando spezziamo in due una barretta di magnete permanente (una calamita): come mostrato in figura 17, nascono un polo Nord e un polo Sud e si formano due calamite. I poli Nord e Sud cono confinati entro le calamite, e non sono osservati liberi. Almeno in fisica classica, perché in realtà l'esistenza di " monopoli magnetici " non è esclusa dalla equazione quantistica-relativistica di Dirac e costituisce una delle grandi questioni aperte della Fisica. Sipario aperto su un nuovo mondo Quello della QCD è tutto un mondo. Per entrarvi sono necessari strumenti professionali. Tuttavia, quanto detto dovrebbe essere sufficiente per intuirne le caratteristiche fondamentali. Il sipario si è aperto. Grazie Colgo l'occasione per ringraziare Clara Guadagni per gli utili, e quando capita anche simpatici, suggerimenti che frequentemente mi regala. . .
Paolo Strolin
...
.. . Professore Emerito di Fisica Sperimentale
Università di Napoli "Federico II" Complesso Univ. Monte S. Angelo Via Cintia - 80126 Napoli - Italy |
|||||||||||||||||||||||||||||||||
Si prega Accedi a partecipare alla conversazione.
Ultima Modifica: da Paolo.
|
Tempo creazione pagina: 0.730 secondi