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La Montagna Calda 09/01/2016 06:29 #172
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La Montagna Calda
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Per domande: autore o
Domanda a un esperto
................In Il vulcano Vesuvio si parla della sua "vita da vulcano". Qui l'attenzione è rivolta alla "montagna calda" Vesuvio: leggete e capirete. Visto dal satellite come in figura 1, il Vesuvio appare come un vulcano situato nel “giardino interno” di un vastissima comunità umana. Questa e altre immagini sono visibili sul sito Web SwissEduc . Come è vissuta questa situazione, più o meno intensamente secondo la distanza e con differenze legate alle caratteristiche e alle tradizioni locali? Con il loro fuoco, il pericolo che rappresentano, i loro misteri e i benefici che apportano, i vulcani costituiscono un caso speciale nel rapporto dell’uomo con la Natura. Il terreno vulcanico è fertile e dà sapore speciale a tutto quello che vi è prodotto. Fin dai tempi antichi essi hanno permesso lo sviluppo dell’economia, basti pensare all’importanza dell’ ossidiana di Lipari nella Preistoria e all’estensione del suo commercio. Nello stesso tempo, essi portano nelle loro viscere un pericolo incombente. Un vulcano – sia esso il Vesuvio, lo Stromboli, o altro – è intensamente amato e temuto dalle popolazioni “conviventi”, come lo è il mare dai pescatori e dai navigatori. E’ significativo che nelle tradizioni degli abitanti di un’isola-vulcano come Stromboli, esso sia personalizzato chiamandolo “ Iddu ” (Lui, in siciliano). Non c’è da stupirsi che nella Mitologia essi siano associati a una divinità e che oggi restino presenti in antichi riti delle tradizioni popolari. Natura, Animismo e Mitologia Nelle antiche credenze animistiche comunemente dette pagane, alla Natura erano associate divinità maggiori e minori. La Natura aveva un’anima. Dell’antico spirito pagano resta traccia in tradizioni di origine rurale che permangono in luoghi inaspettati e insospettabili. Nelle campagne attorno a Ginevra esiste tuttora la Festa del “Feuillu” (in italiano, fogliuto), che si tiene in maggio. Durante questa festa, appare un personaggio coperto di foglie simboleggiante la Primavera che rinasce dall’Inverno. Al limite, potremmo azzardare che l’odierna visione ecologica della Natura e del rispetto che le è dovuto richiami laicamente le originarie credenze animistiche. ..................................................... Fig. 2. L'apparizione degli spiriti naturali del pescheto Fotogramma del fllm Sogni di Akira Kurosawa - Immagine Heart Beats L’antica associazione tra Natura e sacralità è ancora viva nel tradizionale Shintoismo giapponese, che echeggia nell'apparizione degli spiriti naturali (" Kami ") nel segmento Il pescheto (figura 2) del film Sogni (1990) di Akira Kurosawa (1910-98). Lo Shintoismo - animismo della Natura - convive senza problemi in sincretismo con il Buddhismo , importato dall’Asia continentale. Nella Mitologia greca la visione sacrale del rapporto dell‘uomo con la Natura assume una struttura organica, e le divinità greche si integrarono senza troppi problemi con quelle latine grazie ai comuni riferimenti alla Natura. Gli Dei avevano le imprevedibilità della Natura nonché le passioni e bizzarrie degli esseri umani, e non disdegnavano scendere dal loro Olimpo. La Natura può essere benevola con gli uomini ma anche arrabbiarsi furiosamente ossia - dal punto di vista animistico – punirli. Così fanno gli Dei della Mitologia Greca. Zeus (Giove per i Latini), signore dell'Olimpo e Dio del cielo, puniva con la folgore. Non mancano fuoco e vulcanismo. Vulcanismo ed Efesto Il Dio del fuoco, dei fabbri e degli artigiani è Efesto (Vulcano per i Latini). Il fuoco è indispensabile nella vita quotidiana (a cominciare dal primo caffè della mattina, diremmo oggi) e permette di forgiare utensili. Ma il fuoco può anche erompere disastrosamente dai vulcani, come lo sterminator Vesevo di Giacomo Leopardi. Fig. 3. Efesto ritorna all’Olimpo cavalcando un asino e con in mano un martello Anfora attica a figure nere (VI secolo a.C.), Kunsthistorisiches Museum, Vienna Immagine Viatico de Vagamundo - Clic per Alta Definizione Efesto era figlio di Zeus e Hera. Zeus aveva una forte invidia per la sua abilità nel forgiare col fuoco armi e strumenti e in generale come artigiano. Nel corso di una delle liti tra Zeus ed Hera, Efesto intervenne in difesa della madre. Zeus, già mal predisposto, lo gettò giù dall’Olimpo senza troppi complimenti. La rovinosa caduta lo fece atterrare sull'isola di Lemno, ove si ritrovò con un piede storpiato. Lì acquisì una straordinaria abilità nel forgiare armi, lavorare metalli e creare bellissimi gioielli. Riconoscendo la sua capacità di creare bellezza, Hera lo perdonò per non essere ciò che aveva sperato e convinse Zeus a richiamarlo all’Olimpo. Così Zeus mandò Dioniso, fratello di Efesto, a inebriarlo con il vino per convincerlo a farlo tornare. Efesto lo fece accompagnato da Dioniso e cavalcando un asino. Il trionfale ritorno di Efesto all’Olimpo era un argomento preferito dell’ iconografia di epoca arcaica, come mostrato in figura 3. Tornato tra gli Dei dell'Olimpo, Efesto visse lavorando indisturbato come artigiano nell’ambiente infuocato della sua attrezzatissima fucina sotterranea, nella quale lo raffigura solitamente la tarda iconografia. La fertile montagna e Dioniso Come detto in Il Vesuvio , l’eruzione del 79 d.C. fu preceduta da un lunghissimo periodo di sostanziale quiescenza. La sua natura vulcanica era caduta nell’oblio. Dell’antico vulcano era restato quello che è ora chiamato Monte Somma. La grande fertilità del terreno vulcanico era diventata la caratteristica dominante della “montagna”, che veniva sovente associata a Dioniso (divinità del vino e della vegetazione, assimilato alla divinità romana Bacco) piuttosto che a Efesto (Vulcano per i romani). Otto anni dopo l’eruzione, Marco Valerio Marziale (40-104 d.C.) scrisse in uno dei suoi Epigrammi (V, 44):
“Hic est pampineis viridis modo Vesbius umbris,
Presserat hic madidos nobilis uva lacus. Haec iuga quam Nysae colles plus Bacchus amavit ” Ecco il Vesuvio, che ieri ancora era verde delle ombre di pampini: qui celebre uva spremuta dal torchio, aveva colmato i tini. Questa giogaia Bacco amò più dei colli di Nisa. Nella parte sinistra dell’ affresco pompeiano mostrato in figura 4 - assieme al larario della Casa del Centenario ove era situato - è quasi certamente raffigurato Dioniso, ricoperto di grappoli d'uva in una inusuale iconografia. Pur se oggetto di dibattito , affascina l’ipotesi che la montagna rappresentata a destra di Dioniso sia il Vesuvio di quei tempi, ora indicato come Monte Somma riservando la denominazione Vesuvio al cono vulcanico iniziatosi a formare con l'eruzione del 79 d.C. (vedete Il Vesuvio ). Questa interpretazione è avvalorata dalla pendenza asimmetrica della montagna, più ripida verso la caldera (depressione creatasi ove era la bocca eruttiva) dell'antico vulcano di cui il Monte Somma è quanto resta. Nella parte inferiore dell'affresco è raffigurato un serpente agatodemone (dal greco ἀγαθός δαίμων ossia agathós daímōn, letteralmente "buon demone") barbuto e con la testa coronata (vedete l’immagine ad alta definizione), uno spirito buono con il ruolo di genius loci - ossia protettore della casa e propiziatore di fortuna favorevole e di buona salute - associato a Dioniso nella mitologia greca.
Un collegamento tra il Vesuvio e il culto di Dioniso si ritrova in altri casi, letterari e archeologici. Tra questi ultimi, citiamo innanzitutto lo splendido e conturbante ciclo di affreschi su riti dionisiaci nella Villa dei Misteri a Pompei. In anni recenti, numerosi riferimenti a Dioniso sono emersi negli scavi di una monumentale villa romana situata nei pressi di Somma Vesuviana e distrutta nel 472 d.C. dall'eruzione detta di Pollena, quando era ancora utilizzata seppure con mutate finalità. Il racconto di Tacito (Annales, Par. 5, Libro 1), secondo cui l'Imperatore Ottaviano Augusto ammalatosi durante un viaggio si spense nel 14 d.C. “apud urbem Nolam” (vicino alla città di Nola), e la sua monumentalità fecero ipotizzare - anche se in assenza elementi comprovanti – che quello ne fu il luogo. Tra i riferimenti a Dioniso spicca la sua bellissima statua mostrata in figura 5, ora al Museo Storico Archeologico di Nola . Madonna e Santi Con la religione cristiana, divinità e Natura separano i loro ruoli. Dio regge tutto in modo imperscrutabile, Madonna e Santi vengono implorati affinché "intervengano" per scongiurare i pericoli. Come, secondo la tradizione religiosa, fece miracolosamente San Gennaro invocato in processione solenne dallo spaventatissimo popolo napoletano affinché fosse salvato dalla tremenda eruzione del 1631. Lo racconta Micco Spadaro nel dipinto in figura 6a e 6b.
Gli Dei greco-romani, bollati come “falsi e bugiardi” nel Canto Primo dell’Inferno dantesco, tramontarono. Ma elementi dell’antica Mitologia permangono in incognito nelle tradizioni millenarie delle comunità rurali, che vivono a contatto della Natura. Wolfgang von Goethe e i vedutisti Nel suo Viaggio in Italia (1787), Johann Wolfgang von Goethe (1749-1832) scrisse delle bellissime pagine di diario su Napoli e il Vesuvio, visitati nel suo Grand Tour. Il 2 giugno 1787 egli questo riferisce delle emozioni ispirategli dal Vesuvio durante una sua visita alla duchessa Giovane nella Reggia di Portici: "Stava già facendosi buio e non avevano ancora portato i lumi. Passeggiavamo su e giù per la stanza, quando, avvicinatasi alle finestre laterali chiuse da scuri, ella aprì un'imposta, e io vidi allora ciò che si vede una sola volta nella vita. Se, così facendo, ella aveva inteso sorprendermi, v'era perfettamente riuscita. Eravamo a una finestra dell'ultimo piano, col Vesuvio proprio di fronte; il sole era tramontato da un pezzo e il fiume di lava rosseggiava vivido, mentre il fumo che l'accompagnava andava prendendo una tinta dorata; la montagna mugghiava cupa, sovrastata da una gigantesca nube immobile, le cui masse a ogni nuovo getto si squarciavano balenando e illuminandosi come corpi solidi. Di lassù fin quasi al mare correva una lingua di braci e di vapori incandescenti; e mare e terra, rocce e alberi spiccavano nella luminosità del crepuscolo, chiari, placidi, in una magica fissità. All'abbracciare tutto questo con un solo sguardo, mentre dietro il monte, quasi a suggellare la visione incantevole, sorgeva la luna piena, c'era di che trasecolare". Fig. 7. L'eruzione del Vesuvio del 1774 Philipp Hackert; Staatliche Kunstsammlungen, Kassel Immagine Atlante dell’Arte Italiana - Clic per Alta Definizione Nello stesso spirito Philipp Hackert (1737-1807), pittore “ vedutista ” frequentato e apprezzato da Goethe, dipinge il Vesuvio come in figura 7. Qui interessa la visione di Goethe su come la presenza del Vesuvio sia sentita dalla popolazione locale. Il 20 marzo 1787 , al ritorno della sua terza ascesa al Vesuvio egli scrisse quanto segue (anzitutto riportato in lingua originale ): “Der herrlichste Sonnenuntergang, ein himmlischer Abend erquickten mich auf meiner Rückkehr; doch konnte ich empfinden, wie sinneverwirrend ein ungeheurer Gegensatz sich erweise. Das Schreckliche zum Schönen, das Schöne zum Schrecklichen, beides hebt einander auf und bringt eine gleichgültige Empfindung hervor. Gewiß wäre der Neapolitaner ein anderer Mensch, wenn er sich nicht zwischen Gott und Satan eingeklemmt fühlte”. Un superbo tramonto, una sera celestiale deliziarono il mio ritorno; ma sentivo chiaramente l'effetto sconvolgente di quel mostruoso contrasto. La terribilità contrapposta al bello, il bello alla terribilità: l'uno e l'altra si annullano a vicenda, e ne risulta un sentimento d'indifferenza. I napoletani sarebbero senza dubbio diversi se non si sentissero costretti fra Dio e Satana. Avete letto bene: “un sentimento d'indifferenza" e “mostruoso contrasto”. Questo egli dice riferendosi ai napoletani in generale. In realtà, la questione è complessa ed è molto difficile da generalizzare, pur se può dirsi che i visitatori tendono ad avere una visione più vicina a quella estetica dei "vedutisti" che a quella delle comunità residenti. Come vedremo ora, la visione di Goethe è ben diversa dal sentire delle popolazioni che vivono nei paesi vesuviani, nel più stretto contatto con quella che sentiremo anche chiamare “montagna calda”. Riti, uomini e vulcano nelle feste vesuviane Il Vesuvio è una forte “presenza”, che anima sotto tutti gli aspetti la popolazione dei paesi vesuviani e le sue tradizioni. Tra queste, vi sono le Feste della montagna . Vengono chiamate montagna "calda" e "fredda" rispettivamente il Vesuvio e il Monte Somma, ossia quello che resta di un più antico e grande vulcano entro la cui caldera esso è cresciuto (vedete Il Vesuvio ). Già queste denominazioni implicano l’accettazione del Vesuvio anche come montagna, seppur di natura speciale: calda. Le Feste della Montagna iniziano il primo sabato dopo Pasqua e terminano il 3 maggio. Esse hanno origine dai riti rurali della Primavera - volti a festeggiare il risveglio della vegetazione e propiziare un buon raccolto, nella Mitologia collegati a Dioniso - e li integrano in modo subliminale nella devozione per la Madonna di Castello : nelle antiche tradizioni popolari si attua naturalmente una forma di sincretismo, anche se praticamente inavvertito e non esplicito come tra Shintoismo e Buddhismo in Giappone. La cartolina in figura 8 mostra, in una sintesi piana e diretta, il convivere di vari aspetti della Feste.
La Madonna di Castello è rappresentata seduta. Anche in questa iconografia seduta della Madonna traspare l’ integrazione di precedenti elementi pagani. Seduta era la divinità italica Mater Matuta , venerata come dea dell’Aurora e protettrice delle partorienti. Proprio il Museo Campano nella non lontana Capua ospita una eccezionale collezione di Matres Matutae , una delle quali è rappresentata in figura 9. Altre portano in braccio più di un neonato. Commuovono la spiritualità e l'umanità di una espressività artistica che nella sua essenzialità non conosce il tempo. come non lo conoscono i sentimenti umani di fronte eventi esistenziali quali nascita e maternità. La loro valenza è universale e onnitemporale, per cui il richiamo alla Mater Matuta innesca riflessioni che guardano ben oltre la tipologia iconografica: una Dea Madre è presente in ogni tempo e cultura . La devozione per la Madonna di Castello è tutta vesuviana: essa integra religiosità, “montagna calda” e il suo popolo, fuoco bruciante, rinascita dopo il fuoco e profondità nella storia. È interessante soffermarsi per evocarne brevemente il percorso nel tempo, presentato per esteso tra i Cenni storici sullo stesso sito Web sopra indicato. Nella duecentesca epoca angioina, sulle pendici della montagna presso Somma Vesuviana fu edificato un castello, con una cappella dedicata a Santa Lucia. Le vicende distruttive e costruttive tipiche della storia umana portarono - nei primi decenni del Seicento - all’edificazione di una nuova cappella e a porvi una statua lignea della Madonna. Ma la montagna calda nasconde un vulcano e venne la tremenda eruzione del 1631, che distrusse tutto. La statua della Madonna fu ritrovata da un pastore, semibruciata. La testa era stata lasciata integra dal fuoco, cosicché fu dato incarico a un restauratore napoletano di ricostituire la statua. Il restauratore tardava a compiere la sua opera e la statua. La figlia del restauratore, immobilizzata a letto per grave malattia, udì un giorno una voce uscire dalla cassa in cui giaceva la statua. La voce esortava la ragazza ad alzarsi, farla uscire dalla cassa e ad adoperarsi per farla tornare nella sua dimora vesuviana. La miracolosa guarigione avvenne, il restauratore compì l’opera e la statua (mostrata in figura 8) fu riconsegnata ai Sommesi, fino ad essere posta nella attuale cappella sulle pendici del Vesuvio.
Il “ Sabato dei Fuochi ” è parte delle Feste della Montagna. Una sintesi ne è fornita sul sito Web del Parco Nazionale del Vesuvio . Il popolo vesuviano sale sul "ciglio" e in altri luoghi del Monte Somma, accompagnato e trascinato alla danza dalla musica di gruppi detti “ paranze “ (figura 10) ispirandosi a tradizioni musicali millenarie (figura 11). La Madonna di Castello viene visitata e venerata. Il vino scorre in banchetti rustici all’aria aperta. La discesa avviene al calar del Sole. Secondo la tradizione , con il sopravvenire del buio dei falò accesi sulle pendici della montagna evocano una colata di lava. Oggi predominano fuochi di artificio che esplodono come in un fenomeno eruttivo. Canto, danza e libagioni sono presumibilmente la propagazione nella storia di antichi riti riferiti a Dioniso. L’accensione dei falò può avere avuto originariamente lo scopo di esorcizzare con il fuoco stesso – si potrebbe dire omeopaticamente – una sua eruzione dal vulcano, onorandone la divinità per propiziarsela. Se siete incuriositi, vedete Festa della Madonna di Castello tra i collegamenti dati alla fine. Scienza e Vesuvio Concludiamo parlando di Scienza. Nel secolo di Galileo, Athanasius Kircher (1602-1680) in Mundus Subterraneus (1664) diede il via alla Vulcanologia come Scienza individuando la sorgente dei fenomeni vulcanici:
“I prodigiosi vulcani e le montagne che vomitano fuoco visibili sulla superficie esterna della Terra
sono sufficienti per dimostrare che essa è piena di fuochi invisibili e sotterranei". Uno spettacolare progresso scientifico è stato realizzato dai quei tempi, anche se la previsione delle eruzioni resta un problema aperto. Citiamo due tra le pietre miliari, che riguardano direttamente il Vesuvio.
La prima è la fondazione nel 1841 dell' Osservatorio Vesuviano , la prima stazione di ricerca del mondo in situ su un vulcano, equipaggiata e prevista per ospitare in permanenza un insieme di ricercatori. La figura 12 ne mostra lo storico edificio, tuttora integro, nel 1906. L’Osservatorio ha reso possibile tenere il vulcano sotto stretta sorveglianza, registrando ogni segnale che potesse essere utile per realizzare il sogno di comprendere anticipatamente il sopravvenire di una situazione di pericolo. Esso è situato a circa metà altezza sulle pendici del vulcano, abbastanza lontano dalla vetta per essere al sicuro da materiale eiettato nelle eruzioni e collocato su un poggio per essere protetto da colate di lava. L’Osservatorio Vesuviano ha avuto un ruolo pioneristico per l’osservazione continuativa di vulcani. Con i mezzi di trasmissione dei dati e gli strumenti oggi disponibili, il monitoraggio di un vulcano è condotto in equipaggiatissimi centri situati in posizione remota, ove vengono fatti confluire i dati provenienti da sensori distribuiti sul vulcano e sul territorio circostante. Una pietra miliare relativamente recente è stata posta nella seconda metà degli anni ’90 dal progetto TOMOVES e dalla sua estensione MAREVES. Come riferito in Vedere il Vesuvio invisibile , essi sono stati volti a fornire un’immagine delle camere magmatiche sottostanti tramite la tecnica detta Tomografia Sismica . Questa è una classica tecnica che permette di ottenere immagini in tre dimensioni di strutture complesse all'interno della Terra. Essa è basata sull’osservazione di onde sismiche prodotte da terremoti o provocate artificialmente in tempi diversi e in vari luoghi attorno al volume da indagare. La loro riflessione verso la superficie terrestre da parte di disomogeneità incontrate nel propagarsi all’interno della Terra porta informazioni sulle disomogeneità stesse. La tomografia sismica del Vesuvio ha permesso l'individuazione di un esteso strato magmatico a 8-10 km di profondità , che si estende fino ai Campi Flegrei come mostrato in figura 13. Fig. 14. Senza parole, Immagine Robert Mankoff - The New Yorker La clessidra vulcanica Senza alcuna parola, la vignetta in figura 14 dice che il tempo del vulcano scorre fatalmente come la sabbia in una clessidra, verso il momento - lontano o vicino che esso sia - in cui una eruzione potrà avvenire. Purtroppo, tuttavia, l’interno della clessidra con la sabbia che vi scorre è schermato alla nostra vista. Come affrontare questa realtà? Il totalmente passivo “metodo struzzo” - mettere la testa sotto la sabbia per non vedere – è inconcepibile da esseri umani come sistema. E’ veramente praticabile da parte di una comunità residente la forzatura di anestetizzare stabilmente il timore con l’indifferenza, come il grand touriste Goethe scrive nel Viaggio in Italia? L’antica saggia attitudine viene allo scoperto nelle tradizioni della popolazioni che hanno il Vesuvio come compagno. Lo chiamano “montagna calda”, amandola per i suoi doni e accettando il fato (“quello che è detto”, trascritto da parola latina) salvo pregare e continuare la tradizione di scongiurarlo in feste rituali. Nelle convivenze umane, facciamo di tutto per comprendere persone e situazioni al punto di prevedere in tempo dolorose sorprese e scansarle. La Scienza porta a un approccio attivo anche nella convivenza con il vulcano: conoscerlo anzitutto per capire quali sono le misure precauzionali da prendere per “mitigare il rischio” in caso di eruzione, e idealmente giungere a prevederne le eruzioni in tempo utile. Con i suoi strumenti, essa tende a dissolvere lo schermo che separa l’interno della clessidra dai nostri occhi. Ogni passo è un passo. Collegamenti e bibliografia Tracy Marks, Hephaestus or Vulcan: Artisan of the Gods e The Greek God: Hephaestus , Cambridge Center for Adult Education Antonio De Simone, Il restauro della collezione delle Madri del Museo Provinciale Campano di Capua, Orizzonti: Rassegna di Archeologia, 15 (2014) 149 Antonio De Simone, La ccsiddetta Villa di Augusto in Somma Vesuviana: il Dioniso e la peplophoros , in Dall’immagine alla storia: Studi per ricordare Stefania Adamo Muscettola, Quaderni del Centro Studi Magna Grecia, Ed. Naus (2009) 337-353 Girolamo F. De Simone, Con Dioniso fra i vigneti del vaporifero Vesuvio , Cronache ercolanesi, 41 (2011) 287-308 Raffaele Di Mauro, Festa della Madonna di Castello, in Feste e canti del Vesuvio , Parco Nazionale del Vesuvio Roberto De Simone, Canti e tradizioni popolari in Campania, Ed. Lato Side (1979) Vesuvioweb , Magazine di cultura vesuviana Antonio Scherillo, Il Vesuvio prima e dopo Plinio , in La regione sotterrata dal Vesuvio (1982) 945-955. . . [/quote] Professore Emerito di Fisica Sperimentale
Università di Napoli "Federico II" Complesso Univ. Monte S. Angelo Via Cintia - 80126 Napoli - Italy
Ringraziano per il messaggio: Paolo
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