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ARGOMENTO:

La bomba 10/05/2013 18:17 #75

La bomba



Salvador Dalì, La persistenza della memoria (1931), Museum of Modern Art, New York
Immagine: MoMA

Nell’articolo Interazione Forte il discorso è andato sulla Fisica Nucleare e da qui, inevitabilmente anche se a rigore fuori tema per l’articolo, è stata evocata “la bomba”. E' un tema molto dibattuto, ma le tragedie del passato ci devono sempre trovare emotivamente sensibili e pronti a riflessione. Come nel ripetersi delle commemorazioni, ricordare serve come monito attraverso una sempre rinnovata presa di coscienza.

L’uso (o abuso) della Scienza per la guerra è un problema antico che ha seguito il corso della Storia. Stanley Kubrick nel film “ 2001: Odissea nello spazio ” (1968) ha mirabilmente mostrato come l’invenzione di strumenti di difesa abbia permesso ai primati dell’uomo di sopravvivere in un ambiente ostile, dando però loro anche armi di offesa. L’Età del Ferro ha visto anche la produzione di armi superiori, che hanno privilegiato i loro detentori. Analoghi effetti di nuove conoscenze si sono verificati con crescente rilevanza lungo il corso della storia: come esempio, pensate alla polvere da sparo. E da sempre lo sviluppo di armi ha avuto valenze sostanzialmente diverse e non definibili a priori: offesa, difesa, e anche potere deterrente. Il potere deterrente ha perfino caratterizzato periodi di pace, o di non belligeranza, secondo quello che gli storici chiamano “ Principio di equilibrio ” e che consente una almeno temporanea coesistenza di soggetti di forza equivalente: ne è classico esempio l’Italia nel Rinascimento.

Con il crescere della potenza degli armamenti, il divario tra potere deterrente, difesa e offesa si è via via amplificato, divenendo drammatico con gli armamenti nucleari ma sempre nel permanere di una mancanza di definizione d’uso a priori. Il controllo sul loro impiego in caso di guerra sfugge agli scienziati. Le decisioni sono prese dai governi degli Stati e esse dipendono dall’evolversi delle circostanze, non definibile a priori. E in guerra il confine tra difesa e offesa non è chiaramente marcato.

Lo sviluppo della Fisica Nucleare fu contemporaneo alla tragedia della Seconda Guerra Mondiale e fatalmente vi si intersecò: l’enorme energia che si può sprigionare dal nucleo apparve utilizzabile anche fini bellici, con tremendo potere distruttivo e una corrispondente valenza deterrente. In questo conflittuale dilemma, nacque “la bomba” e fu data in mano allo Stato. Quando la si evoca, sorge sempre spontanea l'esigenza di una rinnovata riflessione sull'identità della Scienza e in primo luogo la domanda: quale fu la posizione degli scienziati più direttamente toccati dal dilemma? E’ complesso, se non impossibile, rispondere genericamente. Citiamo solo la posizione di Einstein.

In una famosa lettera al Presidente Roosvelt, nel 1939 Einstein appoggiò l’avvio del Progetto Manhattan per studiare la possibilità di realizzare una bomba nucleare. Le sue parole ne fanno comprendere la motivazione:

"I understand that Germany has actually stopped the sale of uranium from the Czechoslovakian mines which she has taken over. That she should have taken such early action might perhaps be understood on the ground that the son of the German Under-Secretary of State, von Weizsäcker, is attached to the Kaiser-Wilhelm-Institut in Berlin where some of the American work on uranium is now being repeated".

Capisco che la Germania ha di fatto bloccato la vendita di uranio dalle miniere cecoslovacche, delle quali ha preso possesso. Tale azione precoce potrebbe forse essere collegata al fatto che il figlio del Sottosegretario di Stato tedesco, von Weizsäcker, lavora al Kaiser-Wilhelm-Institut di Berlino, dove sono ora ripetuti alcuni dei lavori americani sull'uranio.

Egli temeva che la Germania nazista divenisse l'unico possessore della bomba, con le immaginabili disastrose conseguenze per l'umanità. Fu il fatale avvio alla corsa agli armamenti nucleari, l'uno per paura dell'altro. Verso la fine del 1942, Fermi e il suo gruppo costruirono a Chicago la prima " pila " (oggi diremmo "reattore") nucleare e così diede prova che con i neutroni si possono innescare reazioni a catena. Lo scopo d’uso era pacifico, ma fu comunque un passo importante per la dimostrazione della fattibilità della bomba.

L’uso della bomba a Hiroshima e Nagasaki contro il Giappone fu deciso dal Presidente Truman nel 1945, ormai verso la fine della guerra. Pochi mesi dopo, egli disse al Congresso :

That bomb did not win the war, but it certainly shortened the war. We know that it saved the lives of untold thousands of American and Allied soldiers who would otherwise have been killed in battle”.

La bomba non ha vinto la guerra, ma l'ha certamente abbreviata. E sappiamo che essa ha risparmiato la vita di migliaia di soldati americani e alleati che sarebbero altrimenti caduti in battaglia.

Drammaticamente, la bomba non fu mantenuta come un deterrente cautelativo per prevenire un attacco da parte di altri. Essa fu usata in un’azione di guerra e, per di più, colpendo inermi popolazioni civili al fine di forzare indirettamente una resa militare del Giappone. Fu una scossa profonda alla coscienza del mondo e pose pesanti interrogativi agli scienziati.

Per il Giappone fu un dramma tremendo, vissuto a lungo e nel profondo con la riservatezza di sentimenti di cui pochi popoli sono capaci. Per averne un'idea, guardate i film " Vivere nella paura " (1955) e " Rapsodia in agosto " (1991) del grande Akira Kurosawa. Chi può dimenticare l’indicibile stupore e lo sgomento dell’anziana donna che dalla sua tradizionale casa di campagna vede improvvisamente sorgere in lontananza il tremendo “fungo” della bomba, l’inusitato fenomeno di un sole artificiale che tutto distrugge? In puro spirito giapponese, con questa scena di Rapsodia in agosto Kurosawa fa immaginare la distruzione senza mostrarla e l’effetto è impressionante.

Con spirito sottile, e così più penetrante di qualsiasi realtà più esplicita, nello stesso film Kurosawa fa intuire la persistente complessità dei sentimenti giapponesi verso gli americani: autori materiali (qualunque ne sia l’origine primaria) di una distruzione non dimenticabile, vincitori, politicamente alleati, di diversa cultura ma parte di uno stesso mondo avviato verso la globalizzazione. E’ una complessità mai toccata da parole esplicite: giacendo sotto la superficie, essa genera un’impressione più forte che se fosse banalmente esternata. Ma anche le radici di un albero non si vedono.

Ora, si arriva a Hiroshima come in qualsiasi città. La vita ha ripreso il suo corso, gli alberi crescono, la Natura è incredibile nella sua pulsione a riprendere possesso di quello che è suo. Sfociando nella zona aperta ove era il cuore della città e ove fu il centro della devastazione, si inizia a rivivere l’orrore. Immagini insostenibili sono poste dinanzi a noi in quello che ci turba e vergogna chiamare Museo. Infatti a questa parola hanno premesso "Peace Memorial". Gli occhi si rifugiano a guardare un orologio semifuso e fermo all’ora dell’esplosione: 8:16:08 del 6 agosto 1945. Per circa 130000 "persone umane" il tempo si fermò con quell'orologio.

Un numero ancora maggiore patì atroci sofferenze seguite da morte. Centinaia di migliaia di persone continuarono a vivere con gli effetti della bomba nel proprio corpo e nella propria psiche. Alcuni li portano ancora: sono passati meno di settant’anni. I sopravvissuti colpiti dalle radiazioni furono tanti da avere un nome a parte: “hibakusha”. Non mostro l’orologio di Hiroshima, mostro un dipinto da veggente del surrealista Salvador Dalì. Il Surrealismo è realismo mentale.

Le indelebili emozioni che si provano visitando Hiroshima sono tanto forti che ci impongono di andare più in alto e più lontano di ogni sentimento di accusa o rancore. Come per ogni grande tragedia portata da mano umana, esse non possono che sublimare in un grido di Pace, di “necessità” di Pace. Ora si capisce perché i giapponesi stessi chiamano il luogo "Peace Memorial". Un pellegrinaggio di orrore muta in pellegrinaggio di Pace. Mai più tali orrori. La guerra travolge tutto. Intersecandosi con la Scienza, fatalmente può usarla per distruggere e non solo come deterrente. Vorremmo poter dire “mai più guerra”. Chiediamo almeno opere di salvaguardia e ferma volontà di Pace.

Facendo Scienza, dobbiamo esserci comunque detti il perché. Parlare come sopra di un fatale possibile uso del sapere che la Scienza ci offre non ci esime dal porci di nuovo interrogativi di base sull’identità della Scienza. Qual è la nostra motivazione come scienziati? Qual è la nostra motivazione come cittadini? Ecco le mie risposte. La spinta primaria viene dal desiderio di conoscenza: “Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza”, fece dire Dante a Ulisse nella Divina Commedia (Canto XXVI dell’Inferno, vv. 119-120).

Le possibilità di applicazioni per migliorare la vita delle persone o dell’ambiente in cui viviamo sono di grande stimolo. Se ora non le vediamo, lasciamo tempo al tempo: la conoscenza ha comunque valore intrinseco.Tali motivazioni sono più forti del pensiero che qualche particolare sviluppo della Scienza sia tale che essa possa essere “usata” per “altri” fini, in un futuro che non vorremmo. Questo pensiero ci deve portare a una vigile coscienza, da scienziati e da cittadini.

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Paolo Strolin ...
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Professore Emerito di Fisica Sperimentale
Università di Napoli "Federico II"
Complesso Univ. Monte S. Angelo
Via Cintia - 80126 Napoli - Italy

Si prega Accedi a partecipare alla conversazione.

Ultima Modifica: da P. Strolin.
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