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ARGOMENTO:

Tra quanto tempo avremo le centrali... 04/02/2013 19:10 #47

Tra quanto tempo avremo le centrali elettronucleari a fusione?

di Giancarlo Abbate



U n mio collega ed amico dopo avermi manifestato il suo apprezzamento per l’articolo su EROEI e KiteGen mi ha chiesto “come mai non hai parlato dell’energia da fusione nucleare?” evidentemente per sottolinearne l’importanza. In effetti io, come ogni altro fisico, non posso non riconoscere l’enorme importanza che la fusione nucleare ha in ogni studio o discorso che riguarda l’energia. Non fosse altro perché è la sorgente primaria per eccellenza; è la fusione nucleare infatti il processo fisico che genera l’energia che “muove il sole e l’altre stelle”. L’amore divino di cui parla Dante al termine della Divina Commedia ha scelto infatti questo complesso meccanismo per giungere fino a noi. Durante il ventesimo secolo gli uomini hanno studiato e compreso molti dettagli dell’intima struttura della materia, in particolare del funzionamento dei nuclei atomici, e sono anche riusciti, non senza qualche incidente di percorso, a simulare un meccanismo di produzione di energia che coinvolge i nuclei atomici ma non esattamente il meccanismo che genera l’energia irradiata dal sole. Tuttavia, l’insieme di conoscenze già accumulate, la speranza di una disponibilità praticamente illimitata di energia, l’innata disposizione degli uomini ad affrontare nuove ed apparentemente impossibili sfide (e magari in qualche caso anche interessi meno nobili) ha spinto e continua a spingere scienziati, tecnici e politici alla ricerca del Sacro Graal dell’energia da fusione nucleare. Ma cerchiamo innanzi tutto di capire in maniera semplice di che cosa si tratta.

L’energia da reazioni nucleari
L’equazione di Einstein che vediamo talvolta riprodotta sulle t-shirt, cioè ha il semplice significato dell’equivalenza tra massa ed energia, cioè non solo è possibile trasformare una forma di energia in un’altra, ad esempio possiamo trasformare energia termica in energia elettrica o viceversa, ma è anche possibile, secondo questa equazione, trasformare una certa quantità di massa in energia o viceversa. Negli esperimenti scientifici di fisica delle alte energie è comune osservare particelle dotate di massa che spariscono (si annichilano) e contemporaneamente creazione di energia sotto forma di un fotone, cioè energia elettromagnetica come la luce.

In questa equazione però, oltre alla grandezza E, energia, e ad m, massa, compare il termine c2 , velocità della luce al quadrato, e questo termine fa in modo che ad una piccola quantità di massa che scompare corrisponda un’enorme quantità di energia creata. Giusto per avere un’idea, tutta l’energia elettrica consumata in Italia in un anno, cioè circa 350.000 GWh, si otterrebbe trasformando in energia poco più di una decina di grammi di materia.
Semplice? Beh, non proprio così semplice. Come facciamo a far “sparire” una certa quantità di massa ed ottenere l’energia corrispondente? I nuclei atomici sono formati da protoni e neutroni, ognuno con una sua massa. Ad esempio il nucleo dell’elio è formato da 2 protoni e 2 neutroni, quello di uranio-238 da 92 protoni e 146 neutroni, dunque la massa del nucleo di elio dovrebbe essere uguale alla massa di 2 protoni + la massa di 2 neutroni e analogamente: massa del nucleo di uranio = 92 volte massa del protone + 146 volte massa del neutrone. In realtà è quasi così, ma non esattamente: le masse effettive sono leggermente minori. Quando protoni e neutroni si uniscono per formare il nucleo di un atomo più pesante dell’idrogeno perdono un po’ della loro massa. La massa persa, chiamata difetto di massa, si trasforma quindi in energia. Il punto fondamentale per poter liberare energia da reazioni nucleari è che il difetto di massa dipende dalla massa atomica, via via aumentando dagli atomi più leggeri (idrogeno, elio, litio) fino a raggiungere il massimo per il ferro ed il nichel e quindi diminuire ancora negli atomi più pesanti (uranio e transuranici). Si può quindi ottenere energia o rompendo un nucleo pesante, uranio, ottenendone due intermedi (fissione nucleare) o alternativamente unendo insieme due nuclei leggeri, ad esempio deuterio e trizio (D e T), ottenendo un nucleo di elio (fusione nucleare).

La rappresentazione schematica della figura (ripresa dal blog di Claudio Comis su internet) dà un’idea sufficientemente chiara dei due processi. La diminuzione di massa nel corso delle due reazioni corrisponde all’energia liberata e disponibile al termine del processo. Dalla figura si vede inoltre che, a parità di massa dei reagenti, l’energia liberata nella reazione di fusione è molto maggiore (0,4% della massa totale) di quella ottenibile con la fissione (0,1% della massa totale). Riprendendo l’esempio precedente, basterebbero 2,5 kg di una miscela di deuterio e trizio in una reazione completa di fusione nucleare per ottenere tutta l’energia elettrica consumata in Italia in un anno.


Una differenza ancora più importante è che il reagente per la fissione è l’uranio, un materiale disponibile in quantità limitata ed intrinsecamente pericoloso perché radioattivo, mentre per la fusione sono necessari deuterio e trizio, due isotopi dell’idrogeno, elemento disponibile in pratica senza limiti. Purtroppo però la fisica ci dice, e la tecnologia ci conferma inequivocabilmente, che fondere un nucleo di deuterio ed un nucleo di trizio è molto più complicato che rompere un nucleo di uranio.

Centrali elettronucleari
I concetti fondamentali di fisica del nucleo necessari per lo sviluppo tecnologico di centrali elettro-nucleari sono stati sviluppati negli anni 30 del secolo scorso, con il fondamentale contributo della scuola italiana, un gruppo di giovani fisici sotto la guida di Enrico Fermi, i cosiddetti ragazzi di via Panisperna. Fermi nel 1942 a Chicago accende il primo reattore nucleare dimostrando la fattibilità scientifica della produzione di energia da esperimenti di fissione. Le prime centrali industriali appaiono in Italia, e in pochi altri paesi industrializzati, all’inizio degli anni 60. La fusione era in quegli anni ancora un sogno ma un sogno che in molti, scienziati e non, volevano realizzare ad ogni costo. Perché è così difficile realizzare la fusione? Perché avvenga la fusione dei due nuclei leggeri occorre portarli molto vicini l’un l’altro e tenerceli per il tempo sufficiente a far avvenire la reazione e, poiché tutti i nuclei hanno una carica positiva, c’è una forza elettrica di repulsione che cresce al diminuire della distanza tra i nuclei. In definitiva, è necessario che i nuclei abbiano una “grande” energia cinetica (cioè alta temperatura) e che questa sia mantenuta per “molto” tempo affinché la reazione di fusione avvenga con il ritmo sufficiente per autosostenersi. “Grande” e “molto” sono tra virgolette perché corrispondono a precisi valori quantitativi che dipendono dalla situazione sperimentale. All’interno del sole, ad esempio, la temperatura è di circa 14 milioni di gradi e la massa di idrogeno, e dei suoi isotopi, è tenuta insieme dalla forza di gravità. Per costruire un piccolo sole sulla terra, cioè un reattore a fusione, è necessario mantenere una certa quantità di nuclei di deuterio e trizio a circa 100-150 milioni di gradi, confinata in un assegnato volume e per un tempo opportuno. Il riscaldamento iniziale è ottenuto immettendo energia dall’esterno nel gas di nuclei (plasma) ed il confinamento mediante campi magnetici che devono isolare il plasma dall’involucro interno del reattore per impedirne il raffreddamento(1) .
L’impresa non è impossibile ma è paragonabile a quella di Prometeo. Il problema maggiore è l’instabilità del plasma, cioè l’enorme difficoltà di mantenerlo confinato per il tempo necessario. Molti scienziati in tutto il mondo collaborano a questo scopo, a partire dai primi tentativi di scienziati russi negli anni 50, e sono fiduciosi nel successo finale, stabilendo anche delle roadmap (piani di previsione dello sviluppo della ricerca) per il raggiungimento dell’obbiettivo.

Roadmap verso l’utilizzo civile della fusione
Arrivato però a parlare di roadmap, devo raccontare un episodio personale. Era il 1972, io, studente di Fisica dell’ultimo anno, ero andato a chiedere la tesi per la mia laurea presso i laboratori di fusione nucleare a Frascati (in seguito optai per un’altra tesi). In un lungo e cordiale colloquio, un ricercatore del centro (allora si chiamava CNEN oggi ENEA ) mi parlò tra le altre cose della roadmap verso lo sfruttamento civile dell’energia da fusione. Quella roadmap prevedeva 3 grandi passi, della durata di 15 anni ciascuno:
  • 1. raggiungimento scientifico in laboratorio del pareggio tra energia generata dalla fusione ed energia immessa nel sistema per riscaldarlo e dar luogo alla reazione (breakeven);
  • 2. autosostentamento della reazione in laboratorio con produzione continua di energia (ignizione);
  • 3. realizzazione di un impianto pilota per dimostrare l’esistenza di un guadagno netto di energia (fattibilità tecnologica).
Neanche il primo di questi 3 passi è stato portato a compimento. Il maggior successo scientifico finora ottenuto nel campo della produzione di energia da fusione nucleare è stato un picco di 16 MW (megawatt) che si è mantenuto per 2 secondi, ottenuto nel 1997 in Inghilterra nell’impianto JET (Joint European Torus, un progetto europeo per la fusione), in ogni caso molto lontano dal breakeven. Sono passati 4 decenni dal giorno in cui mi fu illustrata quella roadmap e la prospettiva di ottenere energia industrialmente attraverso il meccanismo della fusione nucleare si è allontanata e si allontana sempre più nel tempo.

Qual è la situazione oggi? Affiancato al JET, c’è un nuovo progetto di collaborazione internazionale per la costruzione di una macchina sperimentale per realizzare la fusione, chiamata ITER , partito ufficialmente nel 2006, con una previsione di spesa che è rapidamente passata da 5 a 15 miliardi di euro. L’Europa ha una partecipazione ad ITER di circa il 50% e l’Italia ha il 7-8 % della quota europea, per una spesa valutabile in 500 milioni di euro, di cui però una parte consistente potrebbe rientrare sotto forma di commesse per la fornitura di componenti della macchina. Purtroppo però la roadmap è molto sfumata e comunque non si prevede il raggiungimento della prima fase, il breakeven, prima del 2045. Nel frattempo un altro progetto per lo studio della fusione nucleare che prevede la costruzione di una macchina molto più piccola di ITER è ufficialmente iniziato nel 2010 in collaborazione tra Russia, dove si costruirà la macchina, Italia ed USA. Si tratta del progetto Ignitor , ideato dal fisico italiano Bruno Coppi, il cui scopo è più di studio scientifico che di effettiva produzione di energia. Questo progetto era stato già precedentemente finanziato in Italia con circa 60 milioni di euro assegnati all’ENEA alla fine degli anni ’90 ma poi fu abbandonato nel 2006, senza che la macchina fosse stata costruita. La situazione per gli esperimenti basati sul confinamento inerziale è analoga, anche se gli investimenti finanziari sono molto inferiori: vari progetti internazionali sono in corso ( NIF , LMJ , HiPER , LIFE , FIREX) ma nessuno prevede il raggiungimento del breakeven prima del 2030, né mi è sembrato di scorgere alcun progetto di fattibilità tecnologica.


Considerazioni conclusive
Come si vede la situazione ha pochi elementi di certezza, sia dal punto di vista scientifico, sia da quello politico ed organizzativo. I progetti di ricerca sono estremamente costosi e richiedono collaborazioni multinazionali, tuttavia le stesse nazioni partecipano a progetti in competizione tra di loro e non c’è ragionevole certezza che da questa competizione possa scaturire un’acquisizione più rapida di competenze scientifiche e tecnologiche in vista dell’obiettivo finale di una fonte di energia praticamente illimitata, poco costosa e non pericolosa. Anzi, questi ultimi due obiettivi sono tutt’altro che certi. Infatti tra i materiali coinvolti nella reazione di fusione c’è il trizio che è radioattivo, quindi potenzialmente pericoloso, anche se emette radiazioni di bassa energia che comportano un reale pericolo per l’uomo solo se il trizio è inalato. Inoltre, il trizio ed il flusso di neutroni di alta potenza danneggiano le pareti del reattore in modo certo ma non ancora valutato quantitativamente e potrebbe essere necessaria la sostituzione delle parti interne del reattore dopo pochi anni di funzionamento. Proprio per rispondere a quest’ultima fondamentale domanda si pensa di costruire un’altra grande macchina specificamente dedicata allo studio dei materiali in presenza di un alto flusso neutronico ma non si sa né quando, né dove, né con quali fondi. In altri termini, non è possibile oggi valutare seriamente neanche l’ordine di grandezza del costo di esercizio di un reattore a fusione nucleare.
Personalmente sono sempre a favore di investire risorse nella ricerca piuttosto che negli incentivi, indipendentemente dal tipo di tecnologia. Infatti, nel primo caso l’obiettivo è di ottenere energia a costi competitivi, nel secondo l’obiettivo è rendere artificialmente competitive tecnologie che non lo sono. Tuttavia, l’entità delle risorse finanziarie che nel mondo ed in Italia sono e saranno dedicate alla ricerca nel campo della fusione nucleare e soprattutto il mancato coordinamento tra grandiosi, e costosi, progetti pluridecennali e l’incertezza assoluta sulla fattibilità tecnologica e convenienza economica di centrali a fusione fanno sorgere molti dubbi sulla razionalità e sull’opportunità delle scelte che le comunità politiche e scientifiche internazionali, ed italiane in particolare, stanno compiendo. Queste scelte potrebbero rivelarsi dannose per la stessa comunità scientifica e per lo sviluppo di altre tecnologie di produzione energetica e sarebbe saggio adottare un criterio di prudenza.
Ed in definitiva, come rispondere alla domanda posta nel titolo? Il sogno del ricercatore CNEN che incontrai quando ero studente si è definitivamente sbriciolato e, se centrale a fusione ci sarà, non la vedremo né io né i miei figli.

Giancarlo Abbate


1 - Un diverso meccanismo, studiato da alcuni gruppi di ricerca anche in Italia, chiamato confinamento inerziale, si basa sull’implosione di una pallina che contiene la miscela di D e T colpita contemporaneamente da numerosi impulsi di luce laser di grandissima potenza.



L'originale dell'articolo si trova qui
Prof. ordinario Fisica della Materia
Università di Napoli Federico II
Dipartimento di Fisica
Complesso Univ. Monte S.Angelo
via Cintia 80126, Napoli - Italy

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Ultima Modifica: da G. Abbate.
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